La progressiva e continua morte dei neuroni della zona nera, e la conseguente incapacità di produrre una quantità sufficiente di dopamina è la causa di questa malattia neurodegenerativa che porta la persona che ne soffre ad avere lentezza nei movimenti, tremori e rigidità.
Infatti, la citata zona nera del cervello controlla i movimenti di tutto il corpo. E purtroppo, i sintomi iniziano ad essere visibili solo quando una grossa quantità di neuroni è ormai compromessa.
Il Parkinson
Nell’immaginario collettivo si manifesta con il tremore di una delle due mani, tuttavia non è fra i sintomi più significativi , che sono come già detto la lentezza muscolare e la rigidità, e ci sono anche dei sintomi di tipo non motorio.
Le cause del Parkinson, secondo gli esperti, si riconducono a due grandi famiglie, di tipo genetico e di tipo ambientale, soprattutto esposizione a pesticidi o metalli pesanti, e la popolazione colpita è soprattutto quella over 50.
Il Parkinson è una malattia in aumento, a causa dell’aumento delle aspettative di vita. Lentamente la comunità scientifica cerca di far luce su questa malattia che ormai è nota da quasi due secoli, e tenta di mettere a punto nuove tecniche, che dovrebbero quanto meno rallentare il progredire di questa malattia.
Le cure
In passato la cura del Parkinson ha tentato di contrastare i sintomi, senza riuscire mai a rallentare il decorso della malattia stessa, e comunque, le cure sino ad ora utilizzate hanno efficacia sempre minore con il progredire della malattia.
Dette cure tentano solo di migliorare la qualità della vita del paziente, essendo ben coscienti che su questa malattia si sa davvero troppo poco. Le ricerche di questi ultimi anni tentano di dare delle alternative alle cure sinora conosciute.
Fra i farmaci più utilizzati si devono citare quelli a base di levo-dopa che attraverso la somministrazione di dopamina, tentano di sostituire quella che non viene più prodotta naturalmente dalle cellule cerebrali. Nel corso del 2016 anche in Italia è atteso l’esordio di principi attivi che hanno il loro effetto su un neurotrasmettitore, il glutammato.
La stimolazione cerebrale di tipo profondo negli ultimi anni ha avuto buoni riscontri su pazienti che non hanno altre alternative, o che sono in fasi avanzate, e recentemente, le tecniche ad ultrasuoni hanno dimostrato gli stessi benefici con interventi sicuramente meno invasivi.
Invece, per la stimolazione non profonda, le tecniche sono ancora in fase di studio, e gli sforzi sono tesi a trovare metodi meno invasivi.
Molto interessante è anche la scoperta dell’accumulo della proteina sinucleina durante l’evoluzione della malattia, a valle di appositi studi scientifici si deciderà se l’uso di anticorpi contro questa proteina potrebbe rappresentare un approccio più efficace contro la malattia, andandone ad intaccare i meccanismi di base.